giovedì 19 febbraio 2015

Gioco: panegirico dell'omosessualità in chiave kantiana e idealista

A partire dal 1997, Alan Bennett, uno dei più brillanti drammaturghi inglesi del nostro tempo, iniziò a scrivere una serie di essays, alcuni dei quali pubblicati sul London Review of books. Di essi nel 2004 è uscita la raccolta Untold Stories. Di questa raccolta è stata tradotto in Italiano - naturalmente pubblicato da Adelphi - il breve Scritto sul corpo, nel quale Bennett parla della sua adolescenza, del suo rapporto con il proprio corpo e con la sua omosessualità. Si tratta di un libricino di appena una cinquantina di pagine, ma scritto in maniera assolutamente rimarchevole - come praticamente tutto ciò che scrive Bennett. In esso viene raccontata con incredibile sincerità, ma allo stesso tempo delicatezza, uno di quei drammi che possono rendere la vita di un giovane un inferno e che solo con il passare del tempo possono essere "metabolizzati" ed accettati come parte del proprio percorso di maturazione umana. E' inoltre quasi commovente la dignità con la quale Bennett afferma di essere stato quello che oggi, con questo termine repellente, chiameremmo uno "sfigato": sesso per la prima volta ben dopo i vent'anni, vita sentimentale praticamente deserta, molte delusioni e storie mai vissute. Un grand'uomo, che non ha paura di mostrare le sue debolezze. Sicuramente potremmo imparare da lui un modo diverso per misurare il valore delle persone.
Ma oggi volevo soffermarmi invece su un aspetto diverso. Su una breve frase che potrebbe sembrare un po' marginale - ammesso che in un testo di 50 pagine ci possano essere delle frasi marginali! -, ma che incontrata nel corso di una sessione di studio sull'estetica di Kant e Schopenhauer non ha potuto fare a meno di colpire la mia immaginazione. La riporto: "Eppure (e una parte di me ne va fiera), nonostante tutte le tribolazioni che comporta, non essere normali significa essere stati prescelti... ma per cosa, a parte una perpetua frustrazione e infelicità, davvero non saprei dire." (Scritto sul corpo, pag. 27, Adelphi editore, 2006).
Vediamo adesso cosa c'entra questo con Kant e l'estetica.

Generalmente Kant non è tra i  filosofi più amati dagli studenti liceali ed innegabilmente la sua filosofia non è tra le più semplici da accostare. Cercherò perciò di essere il più limpido possibile. 
Nella sua Critica della capacità di giudizio, il grande filosofo tedesco cerca di portare a termine un'analisi di un aspetto dell'uomo che sino a quel momento non era rientrato nella sua riflessione filosofica, vale a dire la capacità di giudicare, intesa come capacità di riconoscere il bello - e in un secondo momento di riconoscere la teleologia della natura, cioè, in un senso piuttosto lato, il disegno che muove la natura.
Bene, questa analisi si compone di quattro momenti, che portano alla formulazione di quattro definizioni: 1. Si dice bello l'oggetto di un compiacimento privo di interesse. (in altre parole, non c'è desiderio della cosa considerata bella). 2. Bello è ciò che, senza concetto, piace universalmente. 3. La bellezza è la forma della finalità di un oggetto in quanto essa viene percepita senza la rappresentazione di un fine. (possiamo dire che una cosa ci appare come bella quando in essa intuiamo una sorta di finalità, anche se non siamo sicuri del fine preciso.) 4. Bello è ciò che, senza concetto, viene riconosciuto come oggetto di un compiacimento necessario.
Mi vorrei soffermare sul terzo punto. In esso si parla di fine e finalità. Sono elementi essenziali della filosofia kantiana, in particolare della sua morale. Ma a questo forse torneremo successivamente.
Quello che volevo però mettere in luce era la sorprendente somiglianza con la frase di Bennett che ho riportato. Sia la bellezza per Kant, che la non-normalità (o, nella fattispecie, l'omosessualità) per Bennett hanno la caratteristica di avere l'aspetto di avere un fine, quindi in un certo senso di far parte di un disegno, ma quale sia questo disegno e questo fine non si sa. Non se ne ha "la rappresentazione", come direbbe Kant. Possiamo dedurre che, kantianamente, l'omosessualità è bella? Sembrerebbe di sì. Andiamo avanti nella nostra indagine.

Passiamo adesso a Schopenhauer. Il tenebroso Arthur spesso piace maggiormente al grande pubblico, anche se talvolta è soprattutto a causa di alcune sue opere minori - come i libretti gialli pubblicati dall'Adelphi tra i quali figurano L'arte di insultare e L'arte di ottenere ragione. Non so quanti si siano mai cimentati nella lettura del voluminoso Il mondo come volontà e rappresentazione. E non biasimo chi non se la sia sentita - anche se giuro che, tolte alcune parti, è una lettura piuttosto affascinante, sebbene necessariamente lunga!!!
Comunque, venendo ai contenuti, potremmo riassumere la filosofia schopenhaueriana così: il mondo come lo conosciamo è frutto della nostra rappresentazione (la famosa punta dell'iceberg), mentre la vera struttura di esso si trova nascosta, celata dal "velo di Maya"; Questa struttura può però essere in qualche maniera riconosciuta e Schopenhauer la chiama Volontà, indicando con questo termine una forza irrazionale che è alla radice di tutti i mutamenti del mondo; le stesse forze fisiche e gli istinti naturali sono frutto della Volontà. Essa però è anche causa della sofferenza umana, poiché spinge costantemente l'uomo all'insoddisfazione o alla noia, in quanto la Volontà non si arresta mai, non è mai appagata; è una forza cieca che non conosce requie.
Dunque? Ebbene, nel terzo libro de Il mondo come volontà e rappresentazione, Schopenhauer spiega come la contemplazione dell'arte sia qualcosa che sospende per un momento l'attività della Volontà. Infatti, se io osservo una torta posso trovarla bella, ma in realtà è la Volontà che me la fa apprezzare, poiché parte di essa è anche l'istinto di sopravvivenza, che mi spinge a desiderare la torta in quanto alimento. La contemplazione dell'arte invece è priva di questo interesse (ricordo il primo punto della definizione del bello secondo Kant). Ci sarebbe anche da aggiungere che l'arte serve a mettere in luce i vari aspetti della Volontà e come essa funziona senza farsene assoggettare: per esempio, una cattedrale gotica mostra la lotta tra due aspetti della Volontà, vale a dire la forza di gravità e la solidità dei corpi - ricordiamo che ogni forza fisica è da considerarsi espressione della Volontà. Oppure, ad un livello più elevato, una tragedia serve a mettere in luce le forze che muovono l'agire umano, che a loro volta non sono altro che espressione della Volontà. E così via.
E questo come avrebbe a che fare con Alan Bennett e l'omosessualità? Schopenhauer parla vagamente della sessualità, ma è piuttosto chiaro il suo pensiero in merito: la vita sessuale è un'espressione dell'istinto alla riproduzione e alla conservazione della specie. Ma, a rigor di logica, questo dovrebbe valere unicamente per gli eterosessuali. Un omosessuale non ha alcuna ragione di cercare la riproduzione nel suo rapporto con individuo dello stesso sesso. Che l'omosessualità sia una via per sfuggire alla schiavitù della Volontà? Anche qui sembra di sì. E permetterebbe di contemplarne i suoi effetti (l'attività sessuale è frutto della Volontà, indubbiamente), ma senza esserne strumento (per la riproduzione).
Il 23 giugno 2011 apparve sul Corriere della Sera un articolo nel quale Umberto Veronesi affermava: «Quello omosessuale è l'amore più puro, al contrario di quello eterosessuale, strumentale alla riproduzione». La cosa sembrerebbe porsi perfettamente in linea con quanto messo in luce sinora nella filosofia Schopenhaueriana. E troverebbe conferma quella affermazione di Alan Bennett secondo la quale l'omosessualità sembrerebbe il segno di una "elezione" per qualcosa che esula dal normale destino umano, quindi, in ultima analisi, dalla Volontà; l'omosessuale ha in sé una finalità non specificata, come la bellezza secondo Kant. Sarà un caso che molti grandi artisti fossero omosessuali? Schopenhauer aggiunge poi che l'individuo che viene riconosciuto come "genio" è colui che sa contemplare in maniera estetica la bellezza, sfuggendo al flusso della Volontà. Guarda un po'.




[NOTA (da leggersi se si è rimasti scandalizzati):

Abbiamo voluto scherzare, giocando con il pensiero di due grandi personalità della storia della filosofia. Si potrebbe in realtà parlare della morale dell'omosessualità secondo Kant (buoni, non scaldiamoci, mi spiego): tra le formulazioni del suo imperativo categorico, ve n'è una che fa al caso nostro e suona come segue:"Agisci in modo da trattare l'umanità, tanto nella tua persona quanto nella persona di ogni altro, sempre nello stesso tempo come un fine, e mai unicamente come un mezzo." Questo cosa significa? Significa che dobbiamo trattare ogni essere umano sempre considerandolo come un essere umano, quindi dotato di dignità, mai da utilizzare semplicemente come mezzo per uno scopo altro. E l'omosessuale, ma nella stessa identica misura di un eterosessuale, è tenuto ad avere a che fare con gli altri esseri umani senza considerarli mai come uno strumento di piacere. Ma, se è per questo, si tratta di una prescrizione morale che è auspicabile che tutti adottino.]